Il suo nome deriva da Urpino che in vernacolo significa volpe, animale che doveva abbondare in quel luogo, insieme a selvaggina come il coniglio, la pernice è probabilmente il cinghiale.
di Sergio Atzeni
Forse fin dal periodo punico, fine sesto secolo avanti Cristo, il colle che pomposamente viene definito monte, costituì una riserva di legname atta a soddisfare le esigenze di Caralis che in questi tempi stava sviluppandosi urbanisticamente. Servì alla creazione di nuovi insediamenti che davano alla città una struttura pluricellulare con vari centri abitati che la rendevano composita tanto da meritarsi in periodo latino il nome di Carales, come dire “le Cagliari”.
La sicura folta vegetazione, per secoli nata spontanea, così da farlo apparire un bosco lussureggiante, fu pian piano distrutta e gli alberi d’alto fusto lasciarono il posto alla macchia cespugliosa.
La storia ci riporta un’ordinanza spagnola del 1536 che vietava il taglio degli alberi: evidentemente già allora il colle era seriamente minacciato.
Il suo nome deriva da Urpino che in vernacolo significa volpe, animale che doveva abbondare in quel luogo, insieme a selvaggina come il coniglio, la pernice è probabilmente il cinghiale. La sua posizione dominante dello stagno di Molentargius e il lungomare oggi del Poetto ne facevano un punto di sorveglianza che non poteva essere non sfruttato dai cartaginesi e dai romani, data la sua vicinanza al colle di Bonaria di cui è la prosecuzione naturale, ma il tempo e le distruzioni successive e l’incuria non hanno permesso di ritrovare alcun reperto.
Ebbe un po’ di tregua nel periodo tardo bizantino (750-850 avanti Cristo) quando con le prime incursioni musulmane Caralis fu lentamente abbandonata a favore di Santa Igia che, data la distanza, gli abitanti non trovarono agevole arrivare fino al colle per far legna.
Con lo sviluppo delle saline nel XVII secolo ad opera degli esperti Vittorini di Marsiglia, fu nuovamente disboscato intensamente per produrre palizzate e pontili utili alla lavorazione del sale e per costruire le residenze dei lavoratori.
Con l’assedio aragonese del pisano Castel di Calari nel 1324 fu inglobato nel sistema difensivo iberico che arrivava fino al colle di Bonaria dove fu costruita una città fortificata e, dopo la loro vittoria, diventò una cava che forniva pietrame di calcare. Cava che fu sfruttata precedentemente anche dai pisani per il consolidamento del “castrum” sul colle di Castello.
Monte Urpinu che per secoli aveva resistito, rigenerandosi più volte, non poté più autodifendersi e spogliato dai grandi alberi e lacerato dalle cave nelle sue viscere si avviò ad un progressivo degrado.
Nel 1819, Alberto Ferrero della Marmora dà questa descrizione: “vicino a Monreale si eleva un colle della stessa roccia calcarea che si estende all’incirca dal nord al sud è porta il nome di Monte Urbino.
Come promontorio di Sant’Elia, il colle era una volta ricoperto di alberi, soprattutto di bei ginepri abbastanza grandi da fornire le travi per le case della città di Cagliari, secondo quanto risulta da alcuni antichi documenti. Oggi è arido e vi si trovano soltanto qua e là pochi cespugli rinsecchiti di ginepro, resti della precedenza vegetazione. Si potrebbe ripopolare la collina con nuove piante soprattutto con Pinus Marittima, che sembra essere l’albero più adatto ai terreni alle latitudini propri della costa marittima.”
Dalla descrizione fatta dalla Marmora si evince che il Colle in quel periodo era ormai in completo degrado con la nuda roccia affiorante che gli conferiva un aspetto desolante. Da notare l’acume del grande uomo che suggerì e presagì l’unica soluzione per salvarlo: “rimboschirlo con nuove piante del tipo pinus”.
Forse il suggerimento del Lamarmora non fu vano, perché nel 1870 il barone Sanjust di Teulada lo colse appieno mettendo a dimora centinaia di pini d’Aleppo sottraendo così il colle al pascolo di animali da macello che lo stavano desertificando.
Dopo alcuni anni la collina assunse un altro aspetto fin quando il Comune, negli anni ‘20, lo acquisì con le intenzioni di farne un parco.
Ma gli anni passarono ed il colle sembrava destinato ad un inevitabile declino tanto era il degrado, l’abbandono e l’incuria.
Subito dopo la guerra la città avanzò inesorabilmente ed in breve si avvicinò alla collina e per salvarla, fin dagli anni ’50, gli scolari delle elementari e delle medie in un giorno chiamato “festa degli alberi” piantavano centinaia di alberelli con l’intento di rivitalizzarlo.
Alle sue falde si costruì la nuova chiesa di “Santa Caterina dei Genovesi”, in sostituzione di quella ubicata nella via Manno e distrutta dai bombardamenti.
Il Comune, nel frattempo e nel tentativo di valorizzarlo, decise la costruzione di campi da tennis è una strada panoramica che permettesse di ammirare lo splendido panorama che dalla sommità si offre all’occhio dell’osservatore.
La città ormai lo circondava completamente e il sottobosco stava scomparendo preda dei soliti saccheggi è atti inconsulti di quelle persone non degne di vivere in una comunità civile.
Negli anni ’80 si ebbe la svolta recintando completamente l’area e attuando la conversione in bosco misto, costruendo prati artificiali, vialetti, siepi è un laghetto caratteristico con vari esemplari di animali acquatici e un parco giochi per bambini.
La custodia, la manutenzione è l’apertura fino al tramonto, fanno sperare in un futuro roseo e lungo che potrà farlo apprezzare, speriamo, anche dalle generazioni future, quando la sete di verde sarà ancora più sentita.
Il colle di Monte Urpinu è molto è legato per il futuro alla laguna di Molentargius ai suoi piedi, che nonostante sia già parco naturalistico con un importante oasi avicola con tanti fenicotteri che si riproducono ormai da tempo, da anni i cagliaritani aspettano che decolli definitivamente e che diventi un vero polmone naturale in pieno centro cittadino.