161 anni fa al momento della creazione del regno d’Italia l’isola contava 588 mila abitanti ed era divisa nelle province di Cagliari e Sassari, amministrate da un prefetto, che comprendevano i 371 comuni esistenti
di Sergio Atzeni
Nasce il Regno d’Italia . Con l’armistizio di Villafranca stipulato nel mese di luglio del 1859, si concluse la II guerra d’indipendenza e il Regno di Sardegna guadagnò la Lombardia già austriaca in cambio di Nizza e della Savoia e l’annessione del Granducato di Toscana, dei ducati di Modena e Parma e dell’Emilia ex pontificia che aderirono ufficialmente con il plebiscito popolare del 1860.
Garibaldi con l’impresa dei Mille, sempre nel 1860, consegnò ai Savoia anche il Regno delle Due Sicilie e i territori pontifici delle Marche e dell’Umbria: per completare l’unità d’Italia mancavano ancora Roma, Venezia e il Veneto. Il 18 febbraio 1861 si riunirono a Torino i rappresentanti degli stati che erano confluiti nel Regno di Sardegna e il 17 marzo 1861 fu emanata la legge che così recitava:
“Il Senato e la Camera dei deputati hanno approvato, noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi successori il titolo di re d’Italia”.
Nasceva così il Regno d’Italia che adottava la costituzione Albertina dell’ex Regno di Sardegna che cedeva il suo re senza cambiare ordinale.
La situazione della Sardegna . Al momento della creazione del regno d’Italia l’isola contava 588 mila abitanti ed era divisa nelle province di Cagliari e Sassari amministrate da un prefetto, che comprendevano i 371 comuni esistenti.
Le province erano divise in Circondari Cagliari, Iglesias, Lanusei e Oristano inseriti in quella di Cagliari; Alghero, Sassari, Tempio, Ozieri e Nuoro in quella di Sassari.
Nel 1927 sarà istituita la provincia di Nuoro e aboliti i Circondari, nel 1974 sarà creata la provincia di Oristano. L’euforia per la raggiunta Unità mise in secondo piano i gravi mali che affliggevano l’Italia; specialmente quelli delle regioni meridionali che , uscite di botto dal Medioevo, erano colpite da un sottosviluppo endemico che i vecchi padroni avevano trascurato.
La Sardegna era in condizioni disastrose: analfabetismo imperante, povertà diffusa, brigantaggio inarrestabile, economia e forze produttive inesistenti, malaria ed epidemie sempre presenti.
In questa situazione i governi Italiani, davanti a problemi giganteschi, non seppero da dove iniziare e abbandonarono l’isola a sè stessa.
Gli 11 deputati Sardi che sedevano in parlamento, che nel 1865 si era trasferito a Firenze che diventava capitale, presentarono una richiesta al Governo per ottenere investimenti pubblici nell’isola.
Intanto con la terza guerra d’indipendenza nel 1866 anche il Veneto entrò al neonato stato italiano.
Nel 1867, il seme del malcontento portò alla rivolta a Nuoro con i moti de “Su Connotu”, (tornare a ciò che si coniosceva) in opposizione alle vendite di terreni demaniali sottraendoli alla pastorizia.
Nel 1869 giunse nell’isola una commissione, guidata dal De Pretis, per indagare sullo stato economico della Sardegna, non ci furono risultati ma solo rapporti: per risolvere i problemi ci volevano fatti e non bastavano le parole. Altre commissioni furono istituite nel 1877, 1894 e 1896 per esaminare gli enormi problemi dell’isola ma non approdarono a nessun risultato concreto.
Roma capitale. Il 20 settembre del 1870, Roma fu liberata con un semplice colpo di mano e i problemi Italiani furono messi da parte per dedicarsi alla edificazione di una capitale che dava ai Savoia un trono finalmente in una degna cornice, sulle spalle di tutti gli Italiani che avevano fatto la nazione.
Cinque ore di cannoneggiamento, poche decine di morti, questa fu la campagna che “liberò” Roma. Il 2 Ottobre il plebiscito sancì l’adesione all’Italia con 46.790 voti a favore e 46 contrari, nel 1871 Roma fu proclamata capitale d’Italia.
Quella piccola città del 1870, decadente che serbava un immenso patrimonio fornitogli dal mondo o commissionato dai pontefici, fu pian piano distrutta dagli interventi di costruzione e ammodernamento dei palazzi signorili che oggi conosciamo come Chigi, Madama, Quirinale, Barberini, etc.
I pochi Romani residenti in breve tempo diventarono minoranza data l’immigrazione di funzionari, ambasciatori, militari, commercianti, muratori dal resto dell’Italia.
Tutte le risorse finanziarie furono dirottate verso la nuova capitale che come un’idrovora assorbì il sudore del giovane Stato italiano. Mentre i capitali affluivano nell’urbe, la Sardegna raccoglieva solo briciole, con completamento di strade e reti ferroviarie già vecchie al momento della nascita: fu inaugurato anche il collegamento settimanale via mare con Genova, ben poca cosa rispetto al necessario.
Le miniere del Sulcis erano le uniche industrie presenti che non trasformavano la materia prima e non fornivano quindi valore aggiunto remunerativo. Solo i piccoli commerci consentivano di sbarcare il lunario nelle città, mentre l’agricoltura antiquata e la pastorizia nomade e arcaica fornivano solo il necessario per sopravvivere.
Alla fine dell’800 una febbre di rinnovamento contagiò anche le città sarde, furono distrutti bastioni e opere architettoniche di valore storico come le mura di Cagliari e Sassari: per dare spazio a civili abitazioni fu eliminato così un patrimonio storico che oggi sarebbe stato motivo di turismo culturale e quindi di benessere.