Nora, nonostante la sua importanza, sorgeva in un golfo formato da un promontorio e alle sue spalle aspre zone montane dove i Nuragici facilmente potevano nascondersi e colpire
di Sergio Atzeni
Quando nel 238 a.C. i Romani si impossessarono della Sardegna, la città egemone era Nora.
Il centro fondato dai Fenici, godeva di una posizione più favorevole, ubicato sulla rotta delle navi verso la penisola iberica che sostavano per poi continuare, per la sua maggiore vicinanza all’Africa punica, diventò uno scalo di importanza commerciale e politica notevoli che lo fecero diventare una opulenta città Stato.
Nora però sorgeva in un golfo formato da un promontorio e alle sue spalle aspre zone montane dove i Nuragici facilmente potevano nascondersi e colpire.
Questa esigenza di difesa oltre che al sito più favorevole, portarono pian piano i Romani a decentrarsi nella non lontana Caralis. La città di allora doveva estendersi nel lato Orientale dello stagno di S. Gilla, con un porto interno con acque calme, facilmente difendibile e con un entroterra pianeggiante e quindi agevolmente controllabile.
La corona dei colli che circondava la città, oltre ad essere osservatorio naturale costituiva una barriera naturale per eventuali attacchi da nord-nord ovest.
Il lato orientale era protetto dalla laguna di Molentargius controllata a vista dal promontorio di S. Elia.
Oltre a questi motivi geografici e naturali, l’entroterra pianeggiante adatto alla coltivazione del grano fecero la fortuna di Caralis che da borgo diventò vera città con porto ed economia commerciale. Con l’arrivo di nobili romani decaduti o trasferiti per punizione in questa remota provincia isolana, la vecchia città fenicio punica mutò radicalmente aspetto.
Il vecchio sito presso S. Gilla si trasformò essenzialmente in quartiere povero e popolato da sbandati e portuali, mentre i nuovi signori costruirono le loro dimore autonome e sfarzose in zone leggermente elevate e decentrate (Via Tigellio, Corso Vittorio Emanuele, Viale Merello ecc.).
Il centro nevralgico delle città romane – il Foro – sembra essere individuato con la piazza del Carmine, nelle cui vicinanze sorgevano le case del ceto borghese e dei piccoli commercianti.
Le terme, altro edificio sempre presente nelle città romane, potevano essere ubicate tra la Via Sassari ed il Largo Carlo Felice, ciò lo si può facilmente intuire con la scoperta di canali scavati nel calcare e di cisterne nelle zona di Via Ospedale. Le ingegnose canalizzazioni portavano l’acqua piovana a convergere in cisterne, veri e propri serbatoi, dalle quali all’occorrenza, forse tramite opportune chiuse si faceva defluire e giungere a destinazione.
È assai probabile che un altro sito dove sorgevano i depositi del grano, si trovasse in un luogo facilmente raggiungibile dall’entroterra e vicino al porto per il suo carico nelle navi. Alcuni identificano questo sito fra la Via Nuoro e il Viale Regina Margherita; se la localizzazione fosse esatta potremmo facilmente dedurre che al porto fenicio-punico pian piano si affiancò un altro approdo essenzialmente commerciale, localizzato nella zona di Viale Diaz.
Il mare a quei tempi raggiungeva la zona dove inizia la scalinata di Bonaria e con una linea più o meno regolare giungeva fino alla Via Crispi, lambendo la Piazza del Carmine. Poiché quella zona era in pendenza e scoscesa (notare la pendenza del Largo Carlo Felice) non era possibile creare un approdo che desse funzionalità e riparo.
Intanto il vecchio centro con annesso approdo di S. Gilla diventò probabilmente, con il passare del tempo, un porto militare. Ritornando alla teorizzata zona portuale civile, si può facilmente intuire che dati gli scambi ed i commerci diventò una seconda Cagliari, collegata al centro da una supposta strada costiera.
Questo giustificherebbe l’uso della necropoli di Bonaria lontana dal foro ma vicino al nuovo centro portuale commerciale della Via Nuoro. Intanto il continuo arrivo di militari, le varie campagne per reprimere gli insorti, la lotta contro i barbari autoctoni delle montagne, creavano nella città problemi di alloggio e sussistenza.
Non possiamo non pensare che non esistesse un luogo dove le legioni appena sbarcate, venissero acquartierate e dove i militari locali risiedessero per difendere la città e il suo entroterra con le sue colture estensive, una vera acropoli, siamo certi, doveva esistere, posta in posizione elevata per controllare e difendersi, a ridosso della città per meglio proteggerla.
Questo luogo potrebbe essere il colle di Castello, la costruzione dell’Anfiteatro, scavato interamente nella roccia, può attestare questa ipotesi.
Infatti questo luogo serviva oltre alla cittadinanza anche ai militari che si svagavano nei periodi di riposo. Quindi la dislocazione dell’anfiteatro fu opportunamente scelta nelle vicinanze del (Castrum) che, per ovvie ragioni di sicurezza, dava ricovero anche ai gladiatori sempre turbolenti e pronti alla rivolta.
Perché poi costruire l’anfiteatro scavandolo nel calcare, mentre sarebbe stato più facile edificarlo con i classici mattoni?
Indubbiamente resisteva nella Cagliari di allora il substrato cartaginese che fu soppiantato solo col passare dei secoli, anche il modo di costruire le abitazioni, come constatato nella casa detta di “Tigellio”, ci fornisce una prova che la tecnica muraria punica detta a telaio era in auge fino al III secolo, così come lo sfruttamento delle necropoli già semite come Tuvixeddu è un’altra prova della persistenza punica, ma è anche vero che Caralis fu una delle prime città completamente latinizzate, a causa dei commerci e del continuo arrivo di funzionari romani la parlata latina diventò l’idioma ufficiale così come le tradizioni e gli usi. Ciò, probabilmente, non si può dire per l’interno legato ancora a tradizioni tribali.
Nella Cagliari latina traspare un forte contrasto tra ceti ricchi e poveri, la lussuosità delle case dei nobili, mercanti e funzionari pubblici si contrapponeva alla povertà delle abitazioni popolari, dislocate in borghi fuori dal recinto metropolitano, forse da questi borghi nacquero in seguito i “paesi” che attualmente formano l’hinterland cagliaritano.
Ritrovamenti fortuiti nella zona di Piazza del Carmine hanno portato alla luce statue marmoree di indubbio pregio, le quali abbellivano case e vie.
Sotto il punto di vista religioso Cagliari ebbe libertà di culto che le permise di soppiantare pian piano le credenze religiose puniche con quelle romane.
I romani, è notorio, applicavano la tolleranza religiosa, fin quando questa non cozzava con i loro interessi, così le necropoli puniche diventarono luoghi sacri e i templi di Baal o Babay furono rispettati anzi ristrutturati e lasciati al culto, anche i tephatim (luogo sacro fenicio-punico), vennero protetti e preservati così che i fragili vasi fittili, contenenti le ceneri, sono stati trovati a centinaia.
La massiccia immigrazione di genti latine compì poi il miracolo della pacifica romanizzazione.
Il cristianesimo fece i primi passi timidamente, forse attraverso i deportati e solo alla fine del II secolo d.C. Si sa che i sardi per carattere non sono inclini alle innovazioni, così forse, fu in un primo tempo anche per la nuova religione.
Tuttavia nel III secolo i cagliaritani incominciarono, in luoghi improvvisati, a riunirsi per praticare la nuova religione che tutto sommato coincideva con i desideri di un popolo vessato.
L’amore, la pace, la libertà, erano vocaboli ormai sconosciuti a una città che aveva perso ogni tradizione storica e che seguiva il carro del dominatore senza sollevare la testa. Il cristianesimo, forse, diede quello scossone che stimolò il popolo a meglio sopportare i soprusi, ed avere una speranza per il futuro, anche se extraterreno.
Tutto ciò portò ai primi martiri sardi, dei quali abbiamo scarse notizie, ma che crediamo non rimasero isolati.