La città si estende attualmente su sette colli che sono ancora evidenti, altri che esistevano sono stati inglobati nelle costruzioni, nelle strade e piazze e non si notano più
di Sergio Atzeni
Cagliari, fin dai tempi più remoti, è sempre stata legata ai suoi sette colli, Castello, Bonaria, Monte Urpinu, Monte Claro, San Michele, Tuvixeddu e Sant’Elia.
Infatti, tracce dei primi stanziamenti neolitici si sono trovati sul colle di Sant’Elia dove dei clan di proto-sardi vivevano in grotte e costruivano grossolani vasi e oggetti di pietra.
Il colle di Monte Claro fu invece frequentato nel periodo neolitico e nell’età del rame, circa 2500 anni fa, e le stupende tombe ipogeiche scoperte nel 1905 ci hanno rivelato le credenze e il loro modo di intendere la morte: purtroppo nessun ritrovamento delle cose dei vivi ha contribuito a svelarci l’origine di quelle genti che rimangono ancora misteriose.
Con l’arrivo dei fenici e dei cartaginesi, il colle di Tuvixeddu acquista quella importanza e sacralità che solo un luogo destinato ai morti è in grado di guadagnare. Anche sul colle di Bonaria si costruisce una necropoli che doveva servire l’abitato della zona orientale confermando quello che il poeta latino Claudiano, alcuni secoli più tardi, disse in versi: “tenditori in longum Caralis…” estesa quindi in lunghezza seguendo il golfo e sfiorando i dolci colli.
Durante la dominazione bizantina, a causa delle improvvise incursioni musulmane, Caralis fu lentamente abbandonata e cadde in rovina, la popolazione costruì una città sulle sponde della laguna di Santa Gilla chiamata Santa Igia di cui ora non rimane alcuna traccia. I ruderi giacciono sotto le case del quartiere di Sant’Avendrace nella zona di via Simeto.
Nel 1258 Santa Igia fu distrutta da una coalizione tra i sardi degli altri giudicati e i pisani. La città fortificata costruita quarant’anni prima sui colle di Castello, rimase così unica erede della ormai scomparsa Caralis e della stessa Santa Igia.
Nel colle di Castello, forse fin dal periodo punico, era situata un’acropoli, di cui non se ne è trovata però traccia evidente, costruita ad opera dei cartaginesi è usata probabilmente anche dei romani. Fu certamente smantellata dai pisani per approvvigionarsi di pietrame per la costruzione della rocca.
Il colle di San Michele che si eleva in una posizione invidiabile in quanto costituisce la vedetta naturale per il controllo della zona orientale, fu sfruttato dai pisani che vi costruirono il castello che è giunto sino a noi, con i comprensibili rimaneggiamenti che nel tempo ha subito.
Il colle di Bonaria diventò, nel 1324, una vera città fortificata ad opera degli aragonesi, che ne fecero, fino al 1326, la capitale del regno di Sardegna e Corsica, data in cui i pisani furono costretti a lasciare Castel di Calari e abbandonare per sempre la Sardegna.
Il colle fu testimone dell’arrivo della famosa Madonna che prende il suo nome nel 1370 e la sua fama fu tanto grande che i naviganti la nominarono loro protettrice ed in suo onore fu dato il suo nome alla città argentina chiamata appunto “Buenos Aires”.
Il colle di Monte Urpinu è l’unico che sia rimasto nell’ombra ma ha servito la città fornendo legname per costruire case è fortificazioni è fino al 1700 ha fornito anche abbondante pascolo agli animali di allevamento. Poi spogliato, scavato per ottenere pietrame per costruzione si è arreso perdendo tutta la vegetazione che nel XIX secolo gli è stata gentilmente ripiantata.
Cagliari in effetti aveva anche altri colli come Tuvumannu oggi completamente scomparso perché sacrificato sull’altare della produzione da cava, mentre piccole alture ora sono inglobate tra piazze e palazzi e non sono quindi più identificabili.
Il colle di Castello è anche uno dei quattro quartieri storici di Cagliari per cui rimandiamo alla sua lettura nel capitolo precedente.