Porto Torres (Sassari):  “Monte d’Accoddi” una piramide-altare   misteriosa   unica nel Mediterraneo

Un monumento  piramidale a gradoni simile agli ziqqurat  mesopotamici ma con una sostanziale differenza: quello di Monte d’Accoddi è costruito in pietra mentre  quelli  realizzati  tra il Tigri  e l’Eufrate sono edificati  in mattoni cotti al sole. In copertina libera foto-ricostruzione del monumento    

 di Sergio Atzeni

L’Altare a forma di  piramide  di Monte d’Accoddi situato nei pressi di Porto Torres (Sassari) è una   costruzione misteriosa   unica nel bacino del Mediterraneo, apparteneva a  un complesso di epoca prenuragica, sviluppatosi nella zona  a partire dal  IV millennio a.C. (circa 3600 a. C) e preceduto da tracce di frequentazione riferibili al neolitico medio.

Un monumento  piramidale a gradoni simile agli ziqqurat  mesopotamici ma con una sostanziale differenza: quello di Monte d’Accoddi è costruito in pietra mentre  quelli  realizzati  tra il Tigri  e l’Eufrate sono edificati  in mattoni cotti al sole.

Nella  zona diversi villaggi di capanne quadrangolari sono  stati edificati  nei pressi  prima della costruzione dell’altare, appartenenti alla cultura di Ozieri, con una  necropoli tipica con tombe ipogeiche a domus de janas e un probabile santuario con menhir, lastre di pietra per sacrifici e sfere di pietra.

Il “Bastione” di Monte D’Accoddi, pur essendo l’unico nel bacino del Mediterraneo, è un modello sfruttato nei secoli a partire dalla torre di Babele arrivando allo Ziggurat e alle piramidi americane. Ma quel monumento nasce da una esigenza religiosa indubbia e quelle genti lo hanno eretto perché credevano fermamente nell’aldilà.

Un popolo  appartenente appunto  alla cultura di Ozieri costruì per primo  intorno al 3500 a. C.  una grande  piattaforma sopraelevata, di tipo  troncopiramidale  (metri 27 x 27 X circa 5,5  di altezza), alla quale si accedeva mediante una rampa.

Nella  piattaforma venne costruita  una grande  camera  rettangolare che guardava a sud  (metri 12,50X 7,20 profondità), che si ipotizza fosse un tempio, conosciuto come “Tempio rosso”,  perché  le sue pareti sono intonacate e dipinte in color ocra tendenti a quel colore,  anche se si percepiscono anche  tonalità  di giallo e nero.

Verso il 3000 a. C.  il tempio  fu abbandonato e, dato le tracce di incendi ritrovati, sì può anche  dedurre che sia accaduto qualcosa di traumatico e che siano  stati genti nemiche a violare quel luogo ritenuto sacro. Quindi  andò in rovina  e forse il popolo  che lo costruì  fu assoggettato ad altre popolazioni  provenienti da fuori la Sardegna o soggiogate da un altro popolo autoctono.

Però  quel popolo autoctono superò le difficoltà e rimase forse  sempre legato a quel luogo sacro perché Intorno al 2800 a.C. il vecchio altare  venne completamente ricoperto  da un colossale riempimento, costituito da strati alternati di terra, pietre e di un battuto di marna calcarea locale polverizzata.

Dei  grandi blocchi di calcare furono sistemati  lungo  tutto i perimetro della vecchia costruzione  e  venne creata una seconda grande piattaforma troncopiramidale a gradoni ( metri 36 lunghezza x 29  profondità, per  circa 10  di altezza), accessibile per mezzo di una seconda rampa, lunga metri 41,80 , costruita sopra quella più antica.

Questo secondo santuario, conosciuto anche come “Tempio a gradoni”, ricorda nel suo complesso le contemporanee ziqqurat mesopotamiche  e fu costruito quando in Sardegna la cultura di Ozieri si era evoluta formandone  una nuova chiamata   di Abealzu-Filigosa che  prende il nome dalle località in cui sono stati fatti i più importanti ritrovamenti: Abealzu presso Osilo (Sassari) e Filigosa presso   Macomer (Nuoro).

Dopo tanti secoli le genti veneravano  ancora quell’edificio e ciò che rappresentava  e quindi conservò la sua funzione di centro religioso per diversi secoli ancora  e venne abbandonato solo  l’età del bronzo antico. Quando iniziò la cultura nuragica  intorno al 1800 a.C. era ormai in rovina e venne utilizzato saltuariamente per sepolture.

Per quanto riguarda il nome dopo varie ipotesi  solo di recente si è scoperto che  il nome più antico documentato nelle carte catastali è  “Monte de Code”,  che significava “Monte di Pietra”  e monte deve intendersi collina come nell’isola vengono chiamate le alture anche di poca elevazione.

A qualche metro di distanza dalla rampa,   si trova  un lastra di pietra  calcare che poggia su tre supporti piuttosto irregolari.  Lungo i bordi  la lastra ha  sette buchi che la trapassano  sicuramente  adatti a legare  degli animali per sacrifici. Al di sotto della lastra vi è un inghiottitoio naturale d’incerto significato, forse legato a culti del mondo sotterraneo.

A lato della rampa un menhir in  calcare  squadrato è la conferma che il luogo fosse considerato sacro forse ancor prima della costruzione dell’altare più vecchio. Emblematica anche una pietra sferoidale, in arenaria grigiastra, rifinita accuratamente e con la superficie punteggiata di piccole coppelle. La simbologia sacra sembra indubbia come  l’ipotesi di un riferimento  astrale confermato da un’altra pietra sferoide in quarzite, di minori dimensioni.

Al tempo della  cultura di Ozieri, ad esempio, gli archeologi hanno  ipotizzato che esistesse un  villaggio di 150 capanne, abitate ciascuna in media da 5 unità,  porterebbe i residenti a circa 750 unità.

Ritrovate  numerose  punte di freccia e lame in selce e ossidiana,  accette in pietra levigata. vicino all’altare, come statuette in pietra femminili, di tipo cicladico, e forse anche il frammento di una  grande  ciotola  emisferico con incisa una scena di danza. A un centinaio di metri dal lato orientale dell’altare a terrazza, sono stati rinvenuti due menhir rovesciati sul terreno.

L’area ove ora sorge la “Ziggurat  in pietra sarda” e il villaggio-santuario è stata per la prima volta occupata ai tempi della cultura di San Ciriaco  (3500-3200 a.C.).  Poi  in questo centro abitato si insediarono genti della  cultura di Ozieri (3200-2900 a.C.), che crearono una zona  di culto segnata da un menhir, dalla lastra con fori passanti. Successivamente, nella fase finale della stessa cultura di Ozieri   o nella  cultura eneolitica di Abealzu-Filigosa.

l’area sacra con  il  menhir venne parzialmente occupata dalla costruzione del primo altare a terrazza, munito di rampa e spianata con sacello intonacato e dipinto di rosso che  venne distrutta da un incendio.  Dopo decine di anni fu  ricoperta da terra e pietrame ben pigiato contenuti dal un nuovo muro perimetrale   ed  eretto un nuovo locale sacro,  molto più in lato del primo.

La nuova  piramide finita intorno al 2700 a.C.  rimase in uso anche nell’età del rame , come suggeriscono  i materiali delle culture di Filigosa, Abealzu, Monte Claro e Campaniforme rinvenuti nelle capanne che sorgono ai piedi della piramide.

Ai tempi della cultura di Bonnannaro, (1800-1600 a.C.), il santuario era già stato abbandonato. A questo periodo appartiene un cranio di un piccolo di circa 6 anni, ritrovato in un angolo a sud est dell’altare e  sistemato in quel luogo dopo che il defunto era stato  sottoposto a  scarnificazione  forse naturale e quindi in deposizione secondaria.  Il cranio era protetto da un vaso e accanto vi era sistemato un altro  vaso a tripode di terracotta con accanto una ciotola che  sono state attribuite appunto alla cultura di Bonnanaro (1800-1600 a.C.).

Allora  quel misterioso monumento può essere  stato edificato  da un popolo che arrivò via mare nell’isola come ringraziamento e segno di devozione verso l’essere supremo che aveva permesso l’approdo in una nuova terra? In quel periodo le genti si spostavano già anche se con mezzi di fortuna ma possono essere arrivate in Sardegna anche attraverso la Corsica. Il fatto che quel monumento sia unico, fa pensare perche una costruzione così imponente non nasce per caso e se non si diffuse nell’isola vuol dire che chi l’ha costruita aveva un  territorio limitato forse solo il  nord ovest. Quel popolo che lo edificò certo aveva una forte credenza nell’aldilà perche le difficoltà di costruzione erano tante e lungo  il tempo impiegato cose che sio suoperaqno colo con la fede e con un accordo tribale perfetto.

Il villaggio neolitico nei pressi dell’altare era preesistente all’altare stesso  per cui il luogo sacro fu scelto e, forse,  in un primo tempo delimitato con un circolo con un   menhir  e da qui si passò alla costruzione della primo altare con rampa  di accesso al sacello sistemato nella piattaforma creata. Pi per ragioni diverse quel monumento dopo qualche secolo fu abbandonato  ma poi evidentemente le stesse genti, decisero di costruire  una nuova piattaforma inglobando la precedente ormai semidistrutta. Quersta volta fi costruita una vera piramide a gradoni molto più grande e alta della precedente e con una rampa anche questa più lunga della precedente.

Insomma quel popolo aveva usato quel luogo  come sacro per poi costruire un altare  almeno dal 3200  a. C. per ricostruirlo poi  intorno al 2700 a. C., cioè  500 anni dopo, e lo usò per altri secoli almeno fino agli anni 2000 a. C.

Questo vuol dire che chi costruì quel monumento era passato indenne a oltre un millennio  di storia e per questo si trattava sicuramente di una nazione che si inserì tra le altre  esistenti  nell’isola e che conservò  le  proprie  tradizioni. Questo perché l’altare di Monte d’Accoddi  è unico quindi vuol dire che quella credenza particolare fosse  concentrata nella Sardegna nel nord ovest e praticata da un popolo che tenne le sue tradizioni religiose e che poi si fuse con gli autoctoni rinforzando la nazione sarda che poggia tuttora su quegli antichi  apporti. Il problema è quello di  scoprire chi fu quel popolo capace di erigere un simile monumento in pieno neolitico?

Una precisazione che aumenta il mistero: la vera torre a ripiani in Mesopotamia  si trova attestata solo a partire dalla fine del III millennio a. C., precisamente a partire dalla III dinastia di Ur (circa 2050-1955 a. C.).  In Sardegna l’Altare di Monte d’Accoddi fu invece costruito  intorno al 2700 a. C.! In poche parole può essere semplice dire che nel caso in questione furono i mesopotamici a copiare l’architettura isolana e non il contrario.

 

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