Nel 1792, il Piemonte era in allarme per l’ondata rivoluzionaria che investì la Francia, si affrettò ad allearsi con l’Austria, la Prussia e la Spagna per tentare una difesa dalla prevedibile aggressione. Come previsto, le truppe transalpine attaccarono nel mese di settembre, occupando Nizza e la Savoia, decisero poi di preparare un corpo di spedizione per conquistare la Sardegna che, con il possesso già consolidato della Corsica, gli avrebbe consentito di controllare il Mediterraneo e possedere basi navali ben distribuite
di Sergio Atzeni
Una grande potenza.
La Francia di fine ‘700 era una grande potenza, abitata da 26 milioni di persone, aveva una economia agricola industriale e dettava legge nella moda e nella cultura, Parigi contava ben 600 mila abitanti.
La società transalpina era divisa in tre ordini chiamati Stati, al primo apparteneva il clero più agiato come i cardinali, vescovi e canonici, il secondo era formato dai nobili compresi i cortigiani che godevano di diritti feudali e di esenzioni fiscali: queste due classi comprendevano 350 mila cittadini. Tutti gli altri francesi, oltre 25 milioni, appartenevano al terzo Stato che annoverava professionisti come avvocati, medici, commercianti, artigiani ma anche operai, contadini e nullatenenti.
Forti erano quindi le ingiustizie sociali, la nobiltà e l’alto clero non pagavano nessun tipo di tributo, anzi avevano il diritto di imporli, la massa del popolo invece era costretta a barcamenarsi per poter mangiare almeno una volta al giorno.
Nuove tasse.
Una monarchia assoluta e dispotica con a capo Luigi XVI che, per gli sfarzi di corte e le spese per mantenere l’esercito, l’esenzione dei ricchi dai tributi, rischiava intorno al 1780 di andare in rovina. l sovrano per salvare la situazione pensò di tassare la nobiltà e l’alto clero togliendogli gran parte dei secolari privilegi, naturalmente il provvedimento non fu accolto di buon grado dai due ordini che, opponendosi al volere del re, chiesero la convocazione degli stati Generali.
L’assemblea si aprì il 2 maggio 1789 a Versailles con la partecipazione di 1139 deputati dei quali 291 in rappresentanza del clero, 270 della nobiltà e 578 del Terzo Stato.
Poiché non si trovò un accordo sul metodo di votazione, se adottare il suffragio per ordine (un voto a ciascun Stato) o per testa (un voto a ciascun deputato), il 20 giugno, coscienti della loro forza e sicuri di rappresentare l’intera nazione, gli appartenenti al Terzo Stato decisero di riunirsi da soli in un’altra sede (Sala della Pallacorda) proclamandosi “Assemblea Nazionale” per dare alla Francia una costituzione.
Luigi XVI tenne un comportamento ambiguo invitando i componenti degli altri due Stati a unirsi al terzo Stato ma, nello stesso tempo, ordinò all’esercito di circondare Parigi. La popolazione reagì immediatamente insorgendo e assaltando le caserme e impadronendosi di armi, il 14 Luglio la fortezza della Bastiglia, prigione di stato, fu conquistata e distrutta.
Scoppia La “Rivoluzione Francese”.
Tutta la Francia insorse e il 4 agosto 1789 l’Assemblea Nazionale proclamò l’abolizione di ogni diritto feudale, il 26 dello stesso mese fu approvato un documento contenente la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”.
L’assemblea preparò poi una costituzione e, per fronteggiare una difficile situazione economica, si espropriarono tutte le terre del clero per porle in vendita e si stabilì che vescovi e parroci sarebbero stati eletti dal popolo e retribuiti dalla stato: di conseguenza ogni ordine religioso fu abolito.
Luigi XVI, considerata la situazione, nel giugno 1791, cercò scampo nella fuga ma fu fermato allo frontiera con il Belgio e costretto agli arresti domiciliari, in aprile la Francia entrò in guerra con l’Austria e, il 21 settembre, fu proclamata la repubblica.
I Francesi attaccano il Piemonte.
Nel 1792, il Piemonte era in allarme per l’ondata rivoluzionaria che investì la Francia, si affrettò ad allearsi con l’Austria, la Prussia e la Spagna per tentare una difesa dalla prevedibile aggressione.
Come previsto, le truppe transalpine attaccarono nel mese di settembre, occupando Nizza e la Savoia, decisero poi di preparare un corpo di spedizione per conquistare la Sardegna che, con il possesso già consolidato della Corsica, gli avrebbe consentito di controllare il Mediterraneo e possedere basi navali ben distribuite che avrebbero permesso alla flotta di intervenire facilmente in ogni angolo dell’ex “Mare Nostrum” e combattere con efficacia l’Inghilterra che fino allora non aveva rivali sul mare.
I Francesi erano convinti che i Sardi li avrebbero accolti a braccia aperte e, all’apparire della loro flotta d’invasione, si sarebbero ribellati e scagliati contro gli odiati Piemontesi che, presi tra due fuochi non avrebbero opposto resistenza e abbandonata l’isola.
Il progetto francese era conosciuto dai Piemontesi almeno da ottobre del 1792, ma il viceré in carica in Sardegna Balbiano non mostrò segni di inquietudine, anzi ostentò sicurezza e molti pensarono che avesse l’intenzione di lasciare l’isola ai Francesi senza combattere. Il viceré comunicò al sovrano, Vittorio Amedeo III, che la Sardegna poteva essere difesa da soli 800 uomini appartenenti alle truppe regolari che però nella realtà non davano nessuna garanzia in quanto privi di esperienza.
Il re fu informato anche della mancanza di fortilizi, artiglieria e opere di difesa efficaci.
L’unica forza che potesse teoricamente contrastare l’attacco dei Francesi, era la Milizia Nazionale ma Balbiano espresse le sue riserve perché la considerava impreparata, male armata e senza validi comandanti.
Nonostante il corpo territoriale disponesse di 23 mila uomini inquadrati in 190 compagnie di fanteria e 6 mila nella cavalleria, non dava nessuna garanzia perché i suoi componenti, tutti volontari, si arruolavano per un tozzo di pane e non certo per ideali, mancavano inoltre di addestramento militare ed erano sparsi nel territorio: sarebbe stato quindi difficile rendere omogenea ed efficace una forza composita adatta più a impieghi di polizia ausiliaria che alla guerra.
Preoccupazione dei nobili sardi.
I componenti dei tre Stamenti o Bracci, (Militare, Ecclesiastico e Reale, solo se convocati dal re e riuniti in seduta comune, formavano il parlamento Sardo) in maggioranza feudatari, nobili e ricchi ecclesiastici, al contrario del viceré, avevano interesse ad approntare energicamente la difesa dell’isola per conservare i propri privilegi che la vittoria francese avrebbe cancellato, si adoperarono per organizzare una difesa non certo per amor patrio.
Il reclutamento di miliziani iniziò senza soste, i nobili sardi si trovarono stranamente d’accordo e forti somme furono investite per armi, cavalli e attrezzature, l’arcivescovo di Cagliari offrì 12 mila scudi e tutta l’argenteria della cattedrale.
La forza d’invasione francese si preparò intanto nel porto di Tolone dove le navi imbarcarono uomini e materiali: un esercito improvvisato formato da 6 mila volontari euforici ma impreparati che trovarono posto a bordo di 40 navi da trasporto che, con le 30 da guerra, completarono la flotta.
La spedizione rivoluzionaria salpò alla volta dell’isola al comando degli ammiragli Truguet e Latouche-Treville, fece sosta in Corsica per imbarcare volontari locali al comando del generale Casablanca, poi un fortunale la divise e alcune unità furono sballottate in pieno Tirreno e ripararono addirittura nel porto di Napoli, altre raggiunsero le coste siciliane, altre ancora quelle africane.
Arrivano i Francesi.
Il 21 dicembre 1792 la possente flotta francese fu avvistata nel golfo di Cagliari, ma proseguì verso Carloforte, che fu occupata e ribattezzata “Isola della Libertà”, stessa sorte toccò a Sant’Antioco.
Il 22 gennaio 1793 la squadra navale al comando dell’ammiraglio Truguet si presentò nella rada di Cagliari minacciosa. I Piemontesi stavano a guardare, come se la cosa non li interessasse, lasciando ogni iniziativa ai locali sicuri che la paura e le notizie della triste fine della nobiltà francese avrebbero spinto i signori sardi a battersi come leoni per respingere coloro che minacciavano le loro secolari prerogative.
Le autorità religiose schierate con l’aristocrazia, erano invece in apprensione e l’arcivescovo di Cagliari Melano benedì il baluardo di S. Efisio, eretto a difesa del porto e vi collocò la statua del santo per invocarne la sua protezione.
Il giorno 24, I francesi tentarono di ottenere la resa della città e inviarono una scialuppa con dei parlamentari a bordo, tra i quali il noto giacobino Filippo Buonarroti, per trattare con il viceré ma la loro imbarcazione venne affondata dal fuoco dei miliziani e numerosi marinai rimasero uccisi.
Il 27 gennaio i Francesi tentarono una seconda volta di trattare ma, anche in questa occasione, la loro lancia venne attaccata dai miliziani che uccisero diversi soldati.
Trattative inutili.
A questo punto i transalpini capirono che i cagliaritani non avevano nessuna intenzione di arrendersi e il 28 gennaio, alle otto del mattino, iniziarono un intenso bombardamento della città che durò fino alle 14, ma per fortuna il loro tiro risultò impreciso, molte bordate caddero inspiegabilmente in mare, lievi furono i danni, solo cinque cittadini morirono perché colpiti da spezzoni mentre numerosi rimasero feriti.
Fu il terzo bombardamento che Cagliari subì in quel XVIII secolo dopo quello degli Inglesi nel 1708, degli spagnoli nel 1717 a memoria dei quali il palazzo Boyl, costruito il secolo successivo, conserva ancora tre palle di cannone nella sua facciata. Nel mese di febbraio i francesi sbarcarono 3500 uomini al Margine Rosso e si diressero verso Cagliari dividendosi in due colonne che presero la direzione di Quartu e del Poetto.
I nobili quartesi, preoccupati, come i loro colleghi in tutta l’isola avevano assoldato uomini a proprie spese per opporre una valida resistenza agli aggressori anch’essi per difendere la propria posizione sociale che per proteggere la popolazione.
I contadini, i pastori, gli sfaccendati furono arruolati nel corpo miliziano mentre gran parte della popolazione cercò riparo lontano dal villaggio che rimase disabitato e controllato da uomini rmati e protetto da improvvisati muretti in fango, fossati e palizzate.
I Sardi di difendono.
Il contingente rivoluzionario che si diresse verso Quartu, trovò quindi una insolita resistenza e fu bloccata dai miliziani e battuto, costretto a ritirarsi si trincerò nei pressi della spiaggia in attesa di rinforzi. I miliziani assunsero una posizione d’attesa e non aggredirono i nemici per tentare di ricacciarli sulle navi, Vincenzo Sulis in persona ruppe gli indugi e con un manipolo di volontari quartesi attaccò gli invasori che avevano occupato alcune colline intorno al Margine Rosso, costringendoli a ritirarsi sulla spiaggia, nella scaramuccia si distinse il quartese Agostino Fadda poi decorato con medaglia al valore militare.
Una carica di trecento cavalieri arruolati a proprie spese dal quartese Raimondo Cadoni Pillai, anch’egli decorato al valore militare, bloccò i transalpini all’altezza della chiesa di San Gregorio ( oggi Sant’Antonio) costringendoli a retrocedere.
La seconda colonna che marciava lungo l’arenile, al comando del generale Casablanca, verso il colle di Sant’Elia venne respinta dopo un duro scontro nei pressi delle saline da un contingente di sardi comandato personalmente da Girolamo Pitzolo, nel trambusto del combattimento e per l’oscurità, i Francesi si spararono tra loro e molti rimasero sul terreno.
Il 15 e 16 febbraio Cagliari fu ancora bombardata pesantemente e la torre dell’Aquila subì danni irreparabili, ma a terra i Francesi pur tentando di sfondare lo schieramento dei miliziani, vennero battuti dovunque e si reimbarcarono precipitosamente per tentare un lungo assedio dal mare.
Ma il 17, un forte vento di levante sorprese la flotta d’invasione alla fonda, molte navi furono gravemente danneggiate, altre vennero sbattute dalle onde sulla spiaggia di Quartu e del Poetto che si ricoprirono di rottami, scialuppe danneggiate, resti di velature e centinaia di cadaveri annegati che le onde per giorni continua rono a rigettare sulla battigia.
La sconfitta dei Francesi.
Il 20 febbraio, la spedizione ridimensionata dalle forze della natura, fu costretta ad abbandonare l’impresa e a rifugiarsi nel golfo di Palmas nei pressi di Sant’Antioco. Ciò che rimaneva della flotta fu richiamata in patria e l’ammiraglio Truguet lasciò due vascelli e un piccolo contingente a presidiare l’isola di San Pietro: nel mese di marzo una squadra navale spagnola liberò la neonata Repubblica della Libertà catturando le scarse forze di presidio transalpine.
I cagliaritani non esitarono ad attribuire quella improvvisa tempesta, all’intervento miracoloso di Sant’Efisio che, a loro avviso, ancora una volta salvò la città.
Sempre nel mese di febbraio, un contingente francese al comando del generale Colonna Cesari, proveniente dalla Corsica imbarcato su una corvetta e su alcuni barconi improvvisati, occupò l’isola di Spargi e quella di Santo Stefano per poi tentare la conquista della piazzaforte di La Maddalena che sarebbe diventata una base importante per procedere alla conquista del nord Sardegna.
La piccola forza d’invasione sbarcò sull’isola di Santo Stefano, quattro cannoni e un mortaio con i quali fece fuoco su La Maddalena: comandava l’improvvisata batteria il tenente colonnello Napoleone Bonaparte.
Il fuoco incrociato dei Sardi bersagliò con precisione le imbarcazioni e la corvetta francesi il cui equipaggio, per giorni sotto un intenso cannoneggiamento incrociato, tentò di ammutinarsi e, considerato l’arrivo continuo di rinforzi nelle file sarde, il comandante francese decise la ritirata abbandonando materiali e cannoni, nonostante il parere contrario del giovane Napoleone.